Carl Rogers, psicologo e filosofo di fama mondiale, dopo anni di professione clinica e una vita dedicata alla comprensione e all’aiuto delle persone in difficoltà, divulgò il Counseling come modalità di Relazione di Aiuto. Si spense a 85 anni, nel 1987, poco dopo la sua nomina per il Premio Nobel per la Pace.

Il principio cardine che sta alla base del metodo di Counseling, citando testualmente Rogers è: “Se una persona si trova in difficoltà, il miglior modo di venirle in aiuto non è quello di dirle cosa fare, quanto piuttosto quello di aiutarla a comprendere la sua situazione e a gestire il problema assumendo da sola e pienamente le responsabilità delle scelte eventuali”.

Il costrutto di base è che in ogni essere umano vi sia una connaturata ‘spinta’ alla crescita e allo sviluppo del proprio sé, una innata forza interiore che preme per far sì che ogni risorsa e attitudine possa essere liberamente espressa, e che le proprie peculiarità e possibilità possano essere pienamente realizzate.

Carl Rogers definisce questa spinta ‘Tendenza Attualizzante’ e scrive: “…in ogni organismo, uomo compreso, c’è un flusso teso alla realizzazione costruttiva delle sue possibilità intrinseche, una tendenza naturale alla crescita…”.

Il Counseling, per sua natura, si riferisce quindi NON alla persona malata, ma all’individuo sano che si trovi tuttavia alle prese con un ‘conflitto decisionale’, quale per esempio: “non riesco a decidere se cambiare lavoro o rimanere nella mia attuale occupazione” … “da una parte vorrei iscrivermi all’Accademia di Belle Arti, ma dall’altra sono attratto anche dalla Facoltà di Architettura e non riesco a compiere una scelta”…

In estrema sintesi Rogers postula che quando una persona riesce ad autochiarificare il suo quadro personale, cioè quando in autonomia riesce a comprendere la sua specifica situazione, allora per conseguenza potrà scegliere, sempre in autonomia, i modi e i comportamenti più consoni attraverso i quali risolvere il suo conflitto, e dunque giungere alla sua decisione.

Tale approccio è subordinato al possesso, da parte della persona, di intatte potenzialità di comprensione e di giudizio (seppur momentaneamente ‘confuse’ dalla sola situazione conflittuale). La figura del Counselor (professionista ai sensi della Legge 4/2013) si distingue quindi nettamente da quella dello Psicologo e/o dello Psicoterapeuta: non si occupa del ‘disagio’ o dei ‘traumi’, non attua consulenze psicologiche o terapie o alcuna forma di ‘cura’, non dispensa farmaci.

In una visione più generale e macroscopicamente esemplificativa, vediamo una persona (non-malata) alle prese con un conflitto, il quale temporaneamente ‘blocca’ la ‘tendenza attualizzante’ dell’individuo stesso; l’intervento di Counseling si pone dunque come strumento di facilitazione per far sì che la persona possa dapprima ascoltarsi e poi comprendere le modalità attraverso le quali ‘ri-collegarsi’ alla propria ‘tendenza attualizzante’.

Nel modello rogersiano classico, l’intervento di Counseling è quindi un colloquio nel quale il Counselor (professionista in possesso di precise competenze tecniche e relazionali) ascolta il suo interlocutore e attraverso precise modalità dialogiche lo facilita nel suo processo di autocomprensione, di autoesplorazione di esperienze, comportamenti ed emozioni, di autochiarificazione rispetto al quadro delle sue possibili scelte, dei possibili cambiamenti personali e delle eventuali competenze da acquisire.

Ovviamente per condurre un buon colloquio professionale non basta l’intenzione, bensì occorre un metodo. Prima di accennare alla metodologia ‘tecnica’ è necessario focalizzarsi sulle competenze umane che il Counselor deve possedere, ovvero ciò che Rogers ha definito: ‘Un Modo di Essere’.

Rogers ha difatti individuato tre attitudini personali del Counselor, tre disposizioni umane (definite ‘Atteggiamenti’), che sono il fondamento su cui basare una Relazione di Aiuto efficace e quindi un buon colloquio professionale.

Il Cliente può così riascoltare se stesso e confermare o ‘aggiustare’ in totale autonomia le sue affermazioni e il suo sentire, fino ad autochiarificare la propria posizione e compiere le proprie scelte.

Il processo si conclude in un numero circoscritto di incontri pre-concordati (5, 6), quelli cioè ritenuti utili a chiarificare il solo conflitto portato dal Cliente, senza alcuna ‘indagine’ o ‘disamina’ o ‘esplorazione’ che dir si voglia rispetto a temi psico-personologici strutturali o alla storia di vita del Cliente. Il ‘focus’ è dunque ‘hic et nunc’, cioè unicamente sul ‘qui e ora’ e sul conflitto in oggetto.

Nel caso in cui negli incontri concordati il Cliente non risolvesse in autonomia il suo conflitto, potrà comunque emergere più nitidamente l’esigenza di consultare un’altra figura professionale.

Ecco perché un buon colloquio di Counseling può peraltro configurarsi come utile (se non fondamentale) ‘trait d’union’ tra una persona bisognosa di ‘assistenza’ e l’idonea rete clinico sanitaria. Come ben si nota tutto ciò non ha nulla a che vedere con un processo di ‘diagnosi’, o ‘cura’, o ‘terapia’… ma si delinea invece in un intervento di ‘ascolto empatico’ che ‘favorisce’ la persona in un suo percorso di autodeterminazione.

La figura del Counselor si distingue nettamente da quella dello Psicologo e/o dello Psicoterapeuta: non si occupa del ‘disagio’ o dei ‘traumi’, non attua consulenze psicologiche o terapie o alcuna forma di ‘cura’, non dispensa farmaci.

Il Counselor è quindi quel professionista che aiuta la persona a comprendere e a realizzare la sua ‘Tendenza Attualizzante’, e ancora potremmo dire che il Counselor facilita la persona a entrare in dialogo con se stessa senza alcun tipo di orientamento, interpretazione o guida, agevolandola nell’auto-reperimento delle proprie risorse e potenzialità.